19 giugno 2020
Quando lessi per la prima volta “Il principio della rana bollita” rimasi folgorato. Com’è che ti è venuto in mente di pensare alle rane? direte voi. Tra poco lo capirete.
Inizio con il dirvi di cosa si tratta. E’ un principio metaforico raccontato dal filosofo statunitense Noam Chomsky per descrivere una pessima capacità dell’essere umano, ossia la capacità di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi.
Ecco cosa racconta il principio della rana bollita:
“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa e sarebbe balzata subito fuori dal pentolone”.
Almeno una volta nella vita, ciascuno di noi si è trovato al posto della rana finita bollita. Abbiamo accettato, sopportato, giustificato atteggiamenti da parte di persone che, nella maggior parte dei casi, dicono di farlo “per il nostro bene”. Ed è questo che ci frega. Perché all’inizio sembra tutto così vero e così giusto, che anche se una certa cosa ci crea un po di disagio o di fastidio cerchiamo di guardare oltre. Passerà, migliorerà, cambierà pensiamo. E poi arriviamo ad un certo punto dove, oramai stremati, sottomessi, incapaci di reagire, soccombiamo. Nel modo peggiore.
In questo periodo più che mai non dobbiamo cadere nel tranello della rana che nuota nell’acqua tiepida e pensa che sì, in effetti è un po caldina, ma continua comunque a starci dentro. Perché è la scelta più facile. Anzi, è una non-scelta. Ma che, ugualmente, porta con sé degli effetti. Devastanti.
Spesso (e ancora di più in questa fase di ripresa post lockdown) in ambito lavorativo ci ritroviamo ad essere succubi dei nostri clienti, costretti ad accettare qualunque condizione per via di quella credenza per cui Il cliente ha sempre ragione. No, il cliente non ha sempre ragione. Il cliente ha ragione quando rispetta il nostro lavoro e noi come persone, quando non ha pretese assurde e quando si assume le proprie responsabilità. Dobbiamo imparare a dire NO a chi pretende in continuazione e non dà mai nulla in cambio (sì, anche se è un cliente), dobbiamo saltare fuori dal pentolone appena ci rendiamo conto che il nostro cliente ci sta sfruttando per essere il solo ad avere un tornaconto. Coi clienti vanno instaurate partnership di valore, rapporti win-win dove entrambi, noi e loro, vinciamo.
Questo è il momento giusto per prenderci del tempo, pensare ai nostri clienti e chiederci chi è davvero interessato a noi e a vederci vincere. Poi, passiamo a pensare a noi, e chiediamoci chi, delle persone con le quali abbiamo a che fare, ci vuole davvero vedere vincenti, gioisce per i nostri traguardi e apprezza il nostro lavoro. Sicuramente avrete qualche rapporto che continuate a coltivare nonostante non vi faccia essere del tutto soddisfatti. Ecco, non aspettate che l’acqua sia troppo calda per cercare di uscirne. Agite subito. E utilizzate quel tempo ritrovato per attirare persone che vi apprezzino davvero. Il mondo è grande, state alla larga dai pentoloni.
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